Hanno
intercettato il capo dell’ufficio
intercettazioni colpevole di voler frenare
gli sprechi delle intercettazioni. Non è uno
scioglilingua ma la cruda realtà di cui è
rimasto vittima Nicola Frugis Caggianelli,
storico responsabile della centrale
d’ascolto della procura di Roma, rimosso
dall’incarico nello stesso giorno in cui
avrebbe dovuto sottoporre a un precedente
Guardasigilli un progetto di riordino della
materia di cui tanto oggi si discute. «Mi
accingevo ad andare negli uffici di via
Arenula insieme al procuratore aggiunto
Italo Ormanni quando mi chiamano
dall’ufficio del procuratore capo per dirmi
che ero sollevato dall’incarico per aver
gestito allegramente l’ufficio. Una follia.
A poco è servito che il pm ha poi chiesto
l’archiviazione perché il fatto non
sussiste. L’obiettivo era stato raggiunto:
mi avevano fatto fuori solo perché avevo
provato a mettere ordine nello spreco di
milioni di euro legato alle intercettazioni.
Evidentemente, davo fastidio...».
Viene da sorridere se pure l’indiscusso re
delle intercettazioni finisce intercettato.
«Già. E siccome pensavano che qualcuno del
mio ufficio mi avrebbe potuto avvertire, non
hanno utilizzato i soliti sistemi ma
sono ricorsi
ad altre apparecchiature col risultato che i
miei telefoni sono andati tutti in blocco.
Dilettanti...».
Ricollega davvero la sua disavventura
giudiziaria al tentativo di fermare la
«riforma» sulle intercettazioni?
«Sarà anche una coincidenza, ma quando con
l’aggiunto Ormanni ci apprestavamo a
illustrare le linee guida della “riforma”
con suggerimenti precisi sulla riduzione dei
costi e sui requisiti che tutti gli addetti
ai lavori dovevano avere per lavorare in un
campo così delicato, mi sono piovute addosso
accuse infamanti come l’aver fatto
intercettazioni illegali. Senza saperlo
stavo incrinando determinati interessi».
Quali interessi?
«Non spetta a me dirlo. Io faccio questo
semplice ragionamento. Ogni giorno, su Roma,
abbiamo mille-milleduecento telefoni sotto,
il 60% dei quali legati al traffico degli
stupefacenti. Ogni intercettazione
telefonica ci viene a costare tra i 50 e i
70 euro, se poi parliamo di intercettazioni
“ambientali” i costi lievitano in maniera
esponenziale perché anziché istruire
esponenti delle forze dell’ordine per
piazzare le microspie, ci affidiamo ancora a
tecnici esterni che chiedono cifre
esorbitanti. Abbiamo fatto una guerra per
limitare i costi e ci siamo accorti anche
che ogni procura va per conto suo».
In che senso?
«Per le intercettazioni ambientali come per
quelle telefoniche i vari uffici giudiziari
sparsi nel Paese si comportano in modo
differente applicando tariffe che variano da
Aosta a Palermo. Nessuno si è mai chiesto il
perché. Se uno fa meno intercettazioni
spendendo il triplo, qualcosa evidentemente
non va. Ma c’è di più. Anziché buttare soldi
per apparecchiature che impiegano poco a
diventare obsolete, avevamo proposto un
leasing industriale, così da avere un
ricambio del materiale tecnico al passo coi
tempi. Avevamo pensato di ridiscutere anche
le tariffe dei gestori telefonici,
obiettivamente esorbitanti. Pensavamo a un
albo delle ditte che avessero il massimo dei
requisiti di sicurezza e affidabilità, con
personale incensurato e prezzi stabiliti da
un comitato-prezzi. Personalmente pensavo
che c’era pure da lavorare sulle troppe
consulenze, sulle spese dei trascrittori,
dei periti.... Insomma, studi e statistiche
alla mano, c’era la possibilità di abbattere
almeno del 40 per cento il monte-spese per
le intercettazioni. E invece...».
Per risparmiare non si può, più
semplicemente, intercettare un po’ meno?
«Non entro nel merito di quante sono le
intercettazioni. Dico che, per determinati
reati, servono ancora molto. Perché se è
vero che nessuno ormai parla più
all’apparecchio, è vero che prima o poi un
errore lo si commette sempre. Il telefonino
resta uno strumento formidabile per
“seguire” la persona da controllare così da
incrociare il dato con altre risultanze
investigative. Il problema è un altro».
Quale?
«Bisognerebbe vietare la pubblicazione di
passaggi ininfluenti di intercettazioni
andando all’origine, evitando cioè di
inserire conversazioni inutili nei faldoni
dell’inchiesta. Non tutto dovrebbe andare in
chiaro. Io, ad esempio, inserivo degli
omissis quando si trattava di incontri
intimi, poi il magistrato se riteneva utile
andava a sentirsele in audio. Adesso va
tutto in automatico, compresa la
pubblicazione in edicola».
Certo, la colpa adesso è dei giornalisti...
«Voi avete la vostra dose di responsabilità,
ma la verità è che ad ogni fuga di notizie
si dovrebbe allargare la ricerca del
colpevole a tutti coloro che vengono a
conoscenza degli atti coperti dal segreto
istruttorio: una volta un pm sollevò
addirittura dubbi sul mio ufficio
assolvendo, a prescindere, la polizia
giudiziaria e la sua segreteria. Gli risposi
che era giusto indagare, ma a 360 gradi.
Senza eccezioni. Mi guardò storto».
Le risulta che le autorizzazioni alle
intercettazioni, richieste dal pm, spesso
vengono concesse dal gip senza troppe
verifiche...
«È capitato, anche se non è la regola. Per
tagliare la testa al toro occorrerebbe una
seria separazione delle carriere. Finché pm
e gip lavoreranno gomito a gomito il
problema resisterà. So di un pm e gip che
sono addirittura marito e moglie. Non mi
faccia parlare che è meglio...». |